mercoledì 9 giugno 2010

Equilibrio instabile di un neokayaker

"Un noto cantautore parlava della ricerca di un "Centro di gravità permanente".
Impossibile.
La parola "permanente" non credo ci appartenga e certamente non appartiene a me.
Bisognerà accontentarsi della continua ricerca di equilibri instabili"




Cercando un nuovo equilibrio ho deciso di diventare kayaker.
Cosa vuole dire? Molto semplice, il kayaker è il praticante della navigazione in kayak.
Cos'è il kayak? Molto semplice, il kayak è quella imbarcazione dove gli esquimesi si vanno ad incassare, quasi fondendovisi e con la quale sono soliti svolgere tutte le loro attività, ovvero la pesca per mettere qualcosa sotto i denti.
Detto ciò vi è da dire che nell'immaginario dei non esquimesi (come me) il kayak è quella imbarcazione dall'equilibrio precario dove alcuni temerari vanno ad infilarsi sfidando la paura di rimanere in acqua a testa in giù.
Non bisogna sbagliare, bisogna restare sempre attenti a non perdere il proprio equilibrio.
Bello questo senso di precarietà, ci vedo qualcosa di buono, di vero.
E così che mi sono determinato ad apprendere i rudimenti del kayak, anzi a diventare io stesso un kayaker siculo-esquimese (un pò come il mitico Alberto Sordi nell'altrettanto mitico film “Un americano a Roma”).
Detto fatto, ho contattato un anch'esso mitico istruttore presso la Lega Navale di Palermo e mi sono sottoposto ad un apprendistato preliminare.
Portato a termine il corso, imponendomi tutta la prudenza del caso, ho iniziato ad abbozzare delle timide uscite in mare autogestite.

Anche oggi sono arrivato alla Lega Navale circa alle 15 per una possibile uscitina in mare. Prima di posteggiare mi ero già fermato al chioschetto dove ho preso una Coca Cola ed una bottiglietta d'acqua da portare a mare.
Alla Lega non c'era nessun kayaker già uscito in mare o prossimo ad uscire, cerco sempre di non uscire da solo, di garantirmi un qualche possibile, opportuno supporto.
Si stavano preparando per uscire i ragazzi che praticano lo sport della canoa olimpica che si allenano ogni giorno (lo scorso anno sono arrivati terzi in Italia tra più di cento società).
Stava per uscire anche l'imbarcazione della scuola vela gestita da un kayaker velista, un vero uomo di mare insomma, uno dei miei nuovi amici con il quale ci scambiamo le pagaie ed anche affetto e disponibilità.
Non c'era molto vento ma il mare sembrava non del tutto calmo.
Che fare? Uscire per la prima volta da solo correndo qualche rischio dovuto alla mia inesperienza o rinunciare?
Uscito dal water sociale nel quale mi ero rifugiato a causa di una subentrante emozione con somatizzazione gastrica avevo deciso di andare a mare, da solo.
Rallentando tutte le operazioni di preparazione ho proceduto a preparare il mio bel kayak, la Daytona 530 giallo cromo e mi sono sottoposto alla vestizione, alla metamorfosi. E così dopo alcuni minuti sono uscito dallo spogliatoio ormai pronto per andare.
Mi sono staccato dalla banchina in legno dopo avere regolato con la massima calma il paraspruzzi che dovrebbe evitare all'acqua di entrare nello scafo ma che potrebbe, seguendo l'immaginario della paura, impedirmi di uscire in caso di un possibile ribaltamento.
Basta, sono uscito con una pagaiata calma e con l'occhio al mare fuori dal porto.
Appena fuori entravano delle onde lunghe che riuscivo a superare senza difficoltà. Sono arrivato così dentro il vicino porto dell'Acquasanta, luogo sicuro dove mi sono rifugiato dopo una navigazione oceanica di alcune centinai di metri.
Ho preso l'abitudine di iniziare la pagaiata con una visitina preliminare all'Acquasanta. Mi concedo un giro dei vari bracci dopo avere superato l'ingresso in porto che quasi sempre presenta delle turbolenze che, alcuni giorni, mi creano anche delle difficoltà, soprattutto quando vi si unisce qualche raffica di vento.
Mi piace crogiolarmi al riparo del porto dell'Acquasanta, anche il nome è rassicurante, quando l'ingresso è stato difficoltoso e l'uscita potrebbe essere anche più impegnativa, soprattutto con il vento ed il mare che entrano di prua. Oggi non c'era troppo vento ma il mare era gonfio e più si provava ad uscire più si incontravano onde quali, nella mia ancora preliminare pratica del kayak, non avevo ancora incontrato.
Appena uscito vedo lontano, al largo e verso est la barca a vela dei corsisti.
Inizio a dirigermi verso di loro senza sapere cosa fare. Non ho deciso di andare ad incontrare la vela, mi sono trovato li senza deciderlo. Il mare era mosso e rotto. Raggiunta la meta rapidamente sono tornato nei miei bacini di sicurezza. Mi riferisco al triplice braccio dell'Arenella e sono anche tornato alla base, la sede della Lega Navale.
Dopo qualche minuto di stasi è scattata in me una molla.
Dovevo uscire di nuovo, questa volta verso il largo.
Erano già le cinque passate.
Uscito trepidante dal porticciolo e poi dal golfetto lo scenario era abbastanza preoccupante. Il mare era molto gonfio ed irregolare.
Sentivo una sensazione particolare, di paura calma. Ero consapevole che avrei potuto perdere il controllo del kayak e cercavo di pagaiare con calma ed attenzione. Al contempo non riuscivo a tirarmi fuori da quella dimensione di solitudine in un mare più grande di me. Per una decina di minuti sono uscito verso il largo pagaiando con calma e con maggiore forza sulle onde più impegnative (almeno per me).
Ho sentito una stupenda sensazione di solitudine, precarietà, paura e calma assolute. Ero ben consapevole che ogni onda poteva vincermi e cercavo di non sfidare l'onda con l'uso della forza ma anche di non rimanere passivo.
Ero giunto in un punto dove non mi avrebbe potuto pensare e cercare nessuno.
Era quello che volevo e che temevo.
Spinto non so da cosa ho cercato di individuare la vela dei corsisti guardando verso est (io ero uscito direttamente verso fuori) ma non riuscivo a scorgere nulla. Dopo avere virato, decuplicando la preoccupazione e l'attenzione per il rischio di perdere il controllo traversandomi alle onde, ho iniziato a dirigermi verso est con rotta a rientrare.
Mi ero imposto di non tornare indietro ma di andare verso questo incontro-traguardo.
Il mare era sempre più gonfio ed il mio respiro si stava facendo un poco teso ma ormai ero fuori, direi pure al largo. Anche tornare sarebbe stato impegnativo e certamente avrebbe richiesto del tempo. Ho pensato quindi che tra tornare ed allontanarmi ancora di più andando verso est alla ricerca della vela-ideale non ci sarebbe stata grande differenza.
Ormai ero solo, inesperto, in mezzo al mare gonfio (sottolineo “per me”).
Nella mia mente sentivo farsi il vuoto ed il gesto della pagaiata e la ricerca dell'equilibrio, messo in discussione ad ogni onda, diventava la mia unica dimensione.
Ho pensato cosa potesse avermi indotto a lanciarmi a capofitto (è proprio il caso di dirlo) in questa nuova condizione il cui scopo è viaggiare felice ed atterrito nel più temuto degli elementi, l'elemento primordiale , quello dal quale proveniamo e dal quale non sapremo mai se desideriamo distaccarci o farvi ritorno.
Oggi credo di avere percepito il “doppio” che il mare può rappresentare per noi.
Ecco il segreto, desiderarlo e fuggirlo allo stesso tempo.
Oggi ho vissuto il piacere di un equilibrio precario che è una sorpresa ed un dono e che ad ogni onda può essere messo in discussione o addirittura negato.
Bisogna accettare tutto quello che il mare e la vita vorrà.

Pagaiando alla ricerca del mio equilibrio ho intravisto lontana una macchia bianca che sarebbe potuta essere una vela. Ho iniziato a dirigermi verso quel punto bianco forse vela.
Era una vela ed era proprio la vela dei corsisti. L'ho raggiunta all'altezza dell'ingresso del Porto di Palermo. Le onde erano ancora più impegnativa a causa della risacca di ritorno dalla diga foranea ed ho avuto ancora paura.
Ho quindi iniziato la strada del ritorno.
All'ingresso del bacino della Lega Navale mi sentivo sereno. Di certo non euforico. Non ho parlato con nessuno di quanto avevo vissuto.
In fondo poteva anche essere un mare calmo e non inquietante per altri kayaker navigatori ed essere un mare mosso e solitario soltanto per me, neokayaker che cerca di rimanere a galla, a testa alta, cercando di mantenere il proprio precario equilibrio

09.06.2010

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